Category: Novita

La lesione degli ischiocrurali

La lesione degli ischiocrurali

Uno degli elementi portanti dell’arto inferiore è senza dubbio il gruppo muscolare degli ischiocrurali, formato da semimembranoso, semitendinoso e bicipite femorale. In pratica stiamo parlando dei muscoli posteriori della coscia.

E’ utile parlare di questi muscoli perchè, in primis si tratta di un gruppo di muscoli che sono coinvolti non poco nella deambulazione (nella prima fase di appoggio, di propulsione e intermedia) e in secundis perchè le lesioni a carico degli ischiocrurali recidivano frequentemente, molto spesso perchè ne sottovalutiamo la riabilitazione (e l’entità!), dando luogo a tempi di recupero più lunghi e a fastidiosi stop.

In caso di infortunio, il grado di lesione di questo, gli eventuali esami strumentali da fare, terapie fisiche, farmaci, rinforzo, tempi di recupero etc. devono essere gestiti da figure professionali apposite, alle quali dobbiamo dare retta. E’ utile affidarsi ad uno specialista del settore per queste cose e seguirlo nel programma di recupero, senza anticipare i tempi di nostra iniziativa.

Ma poniamo innanzitutto che prevenire è meglio di curare. Escludendo, in più a quanto detto sopra, gli elementi valutabili solamente da figure professionali adeguate (ad es. postura, squilibrio muscolare, valutazione flessori/estensori) tra le cause di infortunio si annoverano due pratiche che i runners di resistenza non amano molto fare: parliamo di mancanza di estensibilità e di cattivo riscaldamento. Spesso infatti, i runners trascurano totalmente la parte del riscaldamento e dello stretching, che invece è essenziale.

Parlando quindi di prevenzione, iniziamo con il riscaldamento.
Entriamo nella fase invernale della preparazione e il freddo è cattivo amico del runner. Ciò deve significare maggiore e particolare attenzione alla preparazione dello sforzo.
Come fase di pre-attivazione è utile iniziare la seduta con 5′ a ritmi molto blandi, prima di iniziare il riscaldamento vero e proprio, di 20′, da chiudere in leggerissima progressione di ritmo.

Riguardo agli esercizi di estensibilità, ve ne annoveriamo 2 molto semplici, mentre per il rinforzo muscolare degli ischiocrurali, che è un ambito diverso, è utile che un fisioterapista vi segua. Aggiungiamo che questi che vi proponiamo sono esercizi da svolgere dopo un adeguato riscaldamento.

1) Mettersi in posizione supina, su un tappetino. Passare una corda sotto il piede e afferrarne i due capi. Manteniamo il ginocchio teso e il piede ad angolo retto. Alzare l’arto inferiore verso il soffitto, gradualmente e senza scatti, fino a quando non si sente una tensione dietro la gamba. Manteniamo inizialmente per 10-15 secondi, ma l’ideale sarebbero 30 secondi, dopodichè rilasciare l’arto e ripetere con l’altro.

2) Sediamoci per terra e divarichiamo le gambe. Facciamo attenzione a tenere anche qua le ginocchia tese e i piedi in dorsiflessione come precedentemente detto. Dopodichè, avendo cura di mantenere la schiena dritta, incliniamoci leggermente in avanti sulle anche. Sentiremo una tensione a livello degli ischiocrurali, mantenere per circa 30 secondi, poi rilasciare e cercare di andare a toccare il piede destro. Lo scopo dell’esercizio non è andare a toccare il piede stesso, ma solo creare una leggera tensione sugli ischiocrurali e mantenerla per una ventina di secondi. Ripetere per il piede sinistro.
Lorenzo Andreini

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Come allenare la resistenza

Come allenare la resistenza

Capita di entrare su Facebook e leggere di persone che hanno appena concluso un ‘lunghissimo’, che hanno corso una maratona (o magari ne hanno aggiunta un’altra al curriculum), che svolgono allenamenti che riteniamo incredibili o irraggiungibili.
Se abbiamo iniziato da poco a correre, leggere di persone che sono in grado di coprire distanze che ci immagineremmo solo in auto, potrebbe scoraggiarci. Ma dobbiamo tenere sempre presente che anche chi è in grado ormai di correre i 42km ha iniziato dai canonici e introduttivi 5-10′ di corsa, e quindi, potreste anche voi! Stiamo per rivelarvi i segreti per sviluppare la resistenza.
Che caratteristiche deve avere un atleta per diventare ‘resistente’, ovvero, nella corsa, riuscire a correre per molto tempo?

– Innanzitutto una premessa: prima di iniziare a fare attività (agonistica o non) è utile a monte una visita medico-sportiva, per accertare che siate idonei a praticare sport. Il vostro medico di famiglia saprà dirvi di più a riguardo, ma non sottovalutate mai questo aspetto, che non a caso abbiamo messo virtualmente per primo.

Non c’è una scorciatoia! Mettiamoci l’anima in pace: chi è in grado di fare un buon chilometraggio, significa che ha sudato prima. Per essere resistenti ci vuole applicazione, forza di volontà. Il che non significa strafare, ma fare con oculatezza. Un allenatore o anche una tabella di allenamento possono ben aiutarvi a iniziare e a cadenzare le uscite. Ma sappiate che i minuti di corsa ve li regalerete solamente da soli.

Costanza. E’ la chiave per sviluppare la resistenza. Spesso vediamo atleti iniziare con un’uscita alla settimana, corsa velocemente, per poi fare la seconda la settimana successiva. Assolutamente no. Tralasciate al momento la velocità e concentratevi sulla quantità. Partite da un chilometraggio ridotto, che sapete di poter correre a velocità costante e di poter reggere tranquillamente senza arrivare in apnea.

Recupero. Avere costanza non significa che da oggi, tutti i giorni dobbiamo correre. L’organismo ha bisogno fisiologico di recupero. Concediamoci almeno un giorno di riposo tra una seduta e l’altra. Si dice che chi recupera bene, alla fine della settimana è come se avesse fatto una seduta di allenamento in più.

Poco in più alla volta. Specialmente per i primi tempi, è utile aggiungere sempre qualcosa in più rispetto all’uscita precedente, nel rispetto delle vostre sensazioni, che solo voi potete interpretare. Ecco che se dovete sviluppare una base di resistenza, tendenzialmente potete aggiungere 2-3′ di corsa ad ogni seduta di fondo che fate. Vedrete che arrivare ai 50′ sarà più facile del previsto. Ma senza pensare di dover strafare, ricordando i consigli sopra.

Abolire la noia. Scegliamo percorsi sicuri, ben illuminati, corriamo ad orari consoni. Ma facciamo anche attenzione a cambiare percorso, ogni tanto, per limitare la ripetitività delle sedute e dei tracciati. Correre insieme a qualcun altro se possibile, più o meno del nostro livello, ricordandosi, specie in queste prime battute che ognuno ha il suo ritmo e non dobbiamo vincere nessuna gara.

Inseriamo qualche variazione. Quando raggiungeremo un minutaggio discreto di fondo (20-30′ consecutivi), non limitiamoci solo alla solita seduta lenta: aggiungiamo qualche allungo di 80-100 metri in fondo all’allenamento, corso in decontrazione, a velocità media, recuperando 1’30” tra le prove.
Lorenzo Andreini – istruttore FIDAL

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Come gestire un infortunio di lieve entità

Come gestire un infortunio di lieve entità

Quando corriamo il corpo subisce decine di microtraumi senza che propriamente ce ne accorgiamo. Un gesto che sembra, ed in effetti è, il più naturale e semplice per noi dopo il cammino, in realtà è molto complesso e richiede un notevole e stressante lavoro da parte di articolazioni, ossa, muscoli, tendini, legamenti. E’ quindi del tutto normale per un atleta, incappare prima o poi in un infortunio.

Che cosa dobbiamo fare quando ci troviamo davanti un imprevisto di questo tipo?

A molti sarà capitato di avere una distorsione alla caviglia, una distrazione muscolare, uno strappo o uno stiramento, tanto per fare degli esempi. Sono infortuni che molte volte il corridore conosce già bene. In questi casi si ha una reazione infiammatoria da parte del corpo che comprende diversi segni: arrossamento della zona, gonfiore, calore, dolore, compromissione funzionale dell’area colpita.

Cosa si fa in questi casi? Si interviene con il protocollo RICE, che indica l’acronimo di Rest, Ice, Compression, Elevation. Il RICE è una sigla mnemonica che indica appunto 4 elementi di trattamento per gli infortuni di lieve entità, vediamo quali:

REST (riposo): Il Riposo è una funzione chiave del processo riparativo di un tessuto. Senza riposo e continuando a gravare sulla zona colpita, si andrà ad incrementare il processo infiammatorio, il dolore e a creare ulteriori danni. Il rischio appunto, sottovalutando un infortunio, è quello di creare ulteriore danno ed allungare i tempi di recupero. Prendetevi quindi 24-48 ore di riposo e nel caso in cui il dolore non sia sensibilmente diminuito è utile rivolgersi ad un fisioterapista o un ortopedico.

ICE (ghiaccio): Munitevi di una borsa del ghiaccio (o per altri metodi comunque, non mettete il ghiaccio direttamente a contatto con la pelle) e per il tempo di Riposo applicatela per 20′ all’ora (non di più) nella zona colpita, compatibilmente con i vostri impegni. Utile per ridurre la risposta infiammatoria e il dolore.

COMPRESSION (compressione): Serve per ridurre il gonfiore edematoso in seguito a processo infiammatorio. A volte è molto difficile da evitare, ma basti sapere che un eccessivo gonfiore causa una perdita importante della funzione del distretto, oltre che dolore e allungamento dei tempi di guarigione. Nel caso ad esempio di una distorsione di caviglia, il consiglio è di dare uno squillo da subito ad un fisioterapista che saprà gestire al meglio la sintomatologia, magari applicando un bendaggio elastico.

ELEVATION (elevazione): Elevando la zona sopra il livello del cuore, si mira a favorire il ritorno venoso del sangue alla circolazione sistemica, quindi a ridurre edema, gonfiore e dolore.

Di Lorenzo Andreini

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Alimentazione, gli equilibri da rispettare

Alimentazione, gli equilibri da rispettare

Per avere una buona resa in allenamento e in gara non si può non porre attenzione al regime alimentare. Non esistono certamente cibi magici né combinazioni perfette, ma conoscere la materia nutrizione e applicarla in modo serio costituisce una grande fonte di benessere e regala un corpo sempre in forma perché ben rifornito.
Una dieta equilibrata richiede l’apporto di nutrienti in quantità adeguate per il mantenimento, la riparazione e la crescita dei tessuti oltre che per il mantenimento dell’equilibrio energetico. La stima del fabbisogno nutrizionale di un individuo deve tener quindi conto di numerosi fattori intrinseci come il sesso, l’età, le caratteristiche fisiche, il dispendio energetico giornaliero e di altri estrinseci come le variazioni di digestione, assorbimento ed assimilazione dei vari alimenti. Inoltre si deve tener conto delle richieste energetiche proprie di un particolare sport così come delle preferenze alimentari individuali.
Un corridore ha ovviamente richieste diverse rispetto a un sedentario, ma diverse anche rispetto a sportivi che si cimentano in altre discipline o in altre specialità dell’atletica leggera.
Non esiste quindi un’unica dieta per l’esecuzione ottimale dell’esercizio fisico, ma un’attenta pianificazione deve seguire le linee guida di una sana alimentazione.
Vediamo i punti salienti:

  • Avere un’alimentazione varia;
  • Bilanciare l’assunzione di cibo, quindi l’apporto calorico, in funzione del tipo e dell’intensità dell’allenamento;
  • Scegliere una dieta ricca di vegetali, frutta e cereali non raffinati;
  • Scegliere una dieta a basso contenuto di grassi, acidi grassi saturi e colesterolo (grassi animali);
  • Utilizzare una dieta con contenuto di sodio e sale non elevati;
  • Moderare l’assunzione di alcolici;
  • Scegliere cibi ad indice glicemico basso-moderato: in caso di alto indice glicemico (per es pasta) non eccedere e associare sempre ad altri nutrienti e a fibre.

In questa ottica l’utilizzo della piramide alimentare, che si trova in vari siti specializzati o in pubblicazioni che trattano di alimentazione, come base per progettare la propria dieta fornisce un valido aiuto.
Riguardo l’applicazione della dieta nel pre e post gara o l’uso di integratori durante gare su lunghe distanze, bisogna tenere conto di accorgimenti particolari di cui parleremo in un prossimo futuro.

Prof. Augusto Innocenti, PhD – Biologo Nutrizionista Prof ac. – Università di Parma Prof ac Università di Pisa e Massimo Santucci

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Cosa sono la soglia aerobica ed anaerobica?

Cosa sono la soglia aerobica ed anaerobica?

Due valori fondamentali nel nostro sport sono quelli di soglia aerobica ed anaerobica. Spesso se ne sente parlare e si definiscono parametri fondamentali nella pianificazione di un allenamento.
Che cosa sono? Prima di parlare dei meccanismi di soglia, è doveroso un accenno ai metabolismi aerobico ed anaerobico, che stanno alla base di questi.

Il meccanismo aerobico avviene in presenza di ossigeno ed è il più efficiente, il meccanismo anaerobico fa sì che il nostro corpo produca energia anche in assenza di ossigeno. Quest’ultimo è preponderante quando facciamo sforzi massimali o sub-massimali.

Principalmente il nostro organismo si serve di due principali meccanismi anaerobici: quello della fosforilazione ossidativa (anaerobico alattacido) e della glicolisi anaerobica (anaerobico lattacido).

Come capire le soglie, analizzando cosa succede quando corriamo.

Inizia l’attività fisica, il primo meccanismo che entra in gioco è quello anaerobico alattacido, affiancato dal metabolismo aerobico, di minore efficienza in questa prima fase. Si ha quindi un lieve aumento di livello di lattato nel sangue.

Entra quindi maggiormente in gioco il meccanismo aerobico, ed è lui a fare da locomotiva. Il lattato tende lentamente a diminuire, tornando verso valori di riposo. Si può dire che fino a 0,8-1 mmol/l di lattato nel sangue il corpo lavora in totale facilità.

Man mano che lo sforzo cresce, il meccanismo anaerobico lattacido aumenta la produzione di lattato nel sangue, fino al valore di 2mmol/l, che corrisponde alla soglia aerobica. Questo è indicato spesso anche come ritmo maratona, in quanto, complice una pianificazione dell’allenamento adeguato, con il valore di 2mmol/l di lattato nel sangue si possono percorrere lunghissime distanze.

Il valore di soglia anaerobica invece è fissato convenzionalmente a 4mmol/l di lattato nel sangue. Aumentando quindi la velocità oltre quella soglia aerobica prima descritta, aumenta quindi anche il livello di lattato nel sangue. Si arriva al punto in cui aumenta la produzione di lattato, ma la velocità rimane costante, fino al punto in cui il corpo non è in grado di smaltire l’eccesso di lattato e si è costretti a rallentare o fermarsi. Un atleta mediamente allenato può mantenere il livello di soglia anaerobica per circa 40-45 minuti.

In definizione si può dire che la soglia aerobica è la velocità minima per la quale il livello di lattato si mantiene a livelli costanti e superiori a quelli di riposo. Invece la soglia anaerobica è la velocità massima per la quale il livello di lattato si mantiene a livelli costanti e superiori dei livelli di riposo.

Specialmente il calcolo di quest’ultima soglia (anaerobica) è molto importante nella gestione di un atleta perchè permette di andare a pianificare i ritmi di ogni mezzo allenante.

Di Lorenzo Andreini – Santucci Running

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